La pesante ombra dello stile

Sabato 21 gennaio 2023 | Andrea Sivilotti

È una situazione simpatica, nella quale prima o poi finiscono per incappare tutti coloro che con una macchina fotografica appesa al collo, per strada, incontrano un soggetto curioso che vi chiede: – Ma lei fa il fotografo? –

Nella mia mente immediatamente si compone il concetto: “se bastasse avere una buona macchina fotografica per sentirsi fotografo…”

Io solitamente rispondo: – No, ma da oltre trent’anni pratico la fotografia. –

Praticare la fotografia è qualche cosa di più che scattare delle pure fotografie, significa studio continuo della materia in sé e dei grandi maestri che l’hanno esercitata prima di noi, significa confronto continuo, criticare e farsi criticare, significa ricerca ed affinamento di uno stile proprio, non per forza di cose diverso da quelli già in essere ma personalizzato, calato sulla nostra persona.

Ecco, è proprio sullo stile che si finisce per incappare nel peggiore degli equivoci.

Avere uno stile proprio o ricercare un affinamento personale di uno stile classico, non significa veder il mondo della fotografia solo attraverso il nostro personalissimo filtro di stile, anzi.

Il buon fotografo dovrebbe rimanere sempre, come direbbe Guccini, un “eterno studente”.

Dovrebbe frequentare tutti gli stili per rubare ad ognuno di essi quella specifica nota che potrà arricchire il proprio stile, un po’ come un bravo cuoco che studia le ricette dei grandi chef e pian piano, mescola e rimescola in modo via via più sapiente i vari ingredienti, ottenendo la sua personalissima ricetta.

Purtroppo anche il mondo della fotografia, negli anni si è infettato del dannosissimo virus della “iper-specializzazione”.

Così come negli istituti scolastici superiori ed universitari, anche nel mondo della fotografia, negli ultimi decenni si è abbandonata la via dello sviluppo ed accrescimento socio-culturale, per infilarsi nel tortuoso sentiero dell’iper tecnicismo e iper settorialismo.

I più grossi danni, a mio avviso, li stanno facendo le migliaia di workshop fotografici che ogni settimana vengono proposti sui vari canali di comunicazione.

Fotografi più o meno affermati e anche molti ciarlatani, hanno trovato un ottimo metodo per raggranellare soldi senza dover sudare molto.

Pur apprezzando i buoni e sani intenti di molti di essi, la buona parte di questi docenti improvvisati non ha né la cultura adeguata né tantomeno la “Forma Mentis” per insegnare.

Già, come ricorda spesso il prof. Galimberti, non tutti sono portati per l’insegnamento e se qualcuno ha ricevuto in dono questa immensa virtù, da sola non basta, va coltivata ed alimentata con lo studio continuo e la pratica.

Non è una novità che alcuni grandi fotografi erano così introversi e poco propensi al confronto da risultare incapaci a trasmettere ad altri i segreti della loro arte.

Il buon docente dovrebbe parlare ed insegnare “gli stili” non “lo stile” e soprattutto dovrebbe dare le indicazione per poterli raggiungere.

Gran parte dei workshop citati producono solo innumerevoli “cloni” del “maestro” che ha tenuto le lezioni.

La triste incapacità del “maestro”, nel risvegliare gli stimoli interiori di ogni allievo per ricercare un proprio stile personale, finisce per annientare ogni seppur piccola spinta di genialità e fantasia del singolo.

Rubo dal web la definizione di “Maestro” (con la M maiuscola):

Maestro significa “il più grande”, cioè il più esperto, il più competente riguardo a una materia, ad un’arte ad una abilità, tale da essere il punto di riferimento per chi voglia apprendere tali conoscenze.

Ecco allora che ritorniamo alla “Cultura” o meglio, nel nostro caso alla “Cultura Fotografica”, ovvero a quel voluminoso bagaglio contenente anni e anni di:

    • Nozioni tecniche
    • Storia della fotografia
    • Visione ed assimilazione di immagini (Mostre, Esposizioni, Libri…)
    • Pratica
    • Confronto e capacita critica
    • Affinamento del senso estetico

Infine, oltre alla Cultura Fotografica e non ultimo per importanza, il Maestro dovrà possedere una grande capacità comunicativa e di interazione con gli allievi, perché il concetto sbagliato, dal quale molti workshoppisti partono è proprio di pensare ad una platea di contenitori da riempire.

Il bravo Maestro è quello che riuscirà ad intercettare le diverse attitudine dei singoli e a stimolare in loro la voglia di approfondimento e ricerca interiore, la tecnica poi arriverà e sarà calata sul personalissimo stile che ognuno avrà individuato.

Mi è capitato spesso di assistere a platee di neofiti o poco esperti che, dopo aver frequentato un corso con l’esimio fotografo famoso di turno, si sentivano autorizzati a salire in cattedra per dispensare il loro sapere che finiva per risultare quasi sempre come una brutta copia delle lezioni a cui avevano loro stessi assistito.

Mi è capitato altresì di assistere, mio malgrado, a infinite discussioni dove fotografi di lunga carriera, nell’esaminare il lavoro di giovani leve, tentavano in ogni modo di riportare il neofita a rielaborare lo stile presentato, riconducendolo a quello a cui loro erano più abituati.

 

Immagine tratta dal web

Per rendere più facile la comprensione ricordo un paio esempi che mi sono rimasti maggiormente impressi.

Capitò di ascoltare un fotografo che aveva dedicato diversi decenni della propria esperienza fotografica al “Reportage Sociale” che, analizzando una serie di scatti molto ordinati e ben composti, ricchi di linee e grafismi, nonché di contrasti cromatici, insistere sul fatto che tali immagini sarebbero state migliori se fosse stata inserita la figura umana.

Immaginatevi gli scatti di Franco Fontana, a qualcuno di voi verrebbe in mente che manchi la figura umana?

(A fianco una foto di Franco Fontana tratta dal web)

Al contrario, ricordo di aver ricevuto io stesso, in più occasioni, delle critiche sulle mie fotografie da fotografi anche di spessore, avvezzi a generi fotografici arditi, dalle inquadrature volutamente inusuali, spesso inclinate, con contrasti tra luci ed ombre al limite del registrabile, che volevano a tutti i costi che io seguissi le loro orme.

Nessuno che si fosse preoccupato di capire quale messaggio, io fotografo, volessi trasmettere e quale il motivo per cui avessi scelto quello specifico stile per rappresentare le mie immagini.

Non tutti i fotografi alle prime armi hanno la caparbietà di insistere ed ascoltare la voce che da dentro ci indicata la strada da percorrere. Molti si fanno influenzare e indossano abiti che non sentono propri, finché un giorno, guardandosi allo specchio si rendono conto di non piacersi per niente e così abbandonano abiti e ambizioni.

Per concludere vi lascio un mio appassionato consiglio:

Non fatevi influenzare troppo da chi pensa di stare sempre dalla parte della ragione, che non vede altro che la propria immagine riflessa, coloro che non sono capaci di ascoltare chi gli sta di fronte, non sono certo all’altezza di poter insegnare.

Cercate un “Maestro” bravo, che vi sia affine, che sia capace di intravedere nella vostra giovane e inesperta mente fotografica quale sia la giusta via da farvi imboccare e che vi supporti sempre nelle vostre scelte, qualsiasi esse siano.

Per assurdo, il miglior “Maestro” è colui cha saprà essere il vostro miglior “Assistente”.

Buone foto a tutti.

Andrea

La foto in studio è di Matthias Blonski da Unsplash

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