Fotografie per i posteri

Sabato 24 ottobre 2021 | Andrea Sivilotti

Una normale attività che compiamo spontaneamente, in totale automatismo, è quella di ricostruire il passato attraverso l’osservazione delle immagini fotografiche.
È una peculiarità della nostra mente ed è un processo non proprio così semplice e banale.


Noi oggi siamo facilitati, poiché i fotografi del secolo scorso ci hanno lasciato in eredità milioni d’immagini chiare, ben organizzate, ben inserite in racconti più ampi, spesso accompagnate da storie di stampo giornalistico o narrativo.


Ma anche le regole per raccontare una storia per immagini, un tempo, erano molto chiare.
Le immagini dovevano descrivere un avvenimento, un fatto, le persone coinvolte, o un ambiente, e soprattutto dovevano dare l’idea del contesto temporale.


È così che oggi quando guardiamo le fotografie di H.C. Bresson, E. Erwitt, W. Evans o W.E. Smith, solo per fare qualche esempio, riceviamo informazioni “visive” immediate, sul luogo, sul tempo, sulle condizioni sociali o sociopolitiche dei soggetti ritratti.
Riusciamo altresì ad individuare immediatamente il tema conduttore del racconto, lo scopo, o il fine del reportage.


Da oltre trent’anni osservo e cerco di analizzare immagini su immagini, di artisti affermati o amatori vari, del passato o contemporanei; lo faccio da semplice osservatore, e nonostante la lunga esperienza da fotoamatore alle spalle, continuo a guardare le immagini con l’occhio sì attento ma anche ingenuo e curioso del neofita.


Allora mi chiedo: benché io oggi possa capire ed apprezzare la fotografia moderna, questo nuovo modo di fare reportage e foto di strada (street per gli anglofoni), tra cento anni, le persone che osserveranno le immagini di oggi, riusciranno a ricostruire il periodo storico a cui fanno riferimento?
Riusciranno a contestualizzarle?
Riusciranno a decifrarne il messaggio, sempre che ce ne sia uno? 


Ho sempre pensato che l’opera d’arte, non debba aver bisogno di una prolissa didascalia che ne spieghi significati e messaggi, infatti quando guardo “il Cristo velato” non ho bisogno di nulla per interagire con l’opera d’arte, è la scultura stessa che mi parla e mi entra fin dentro l’anima, facendomi emozionare al punto da commuovermi.
Così pure se guardo i minatori di Salgado, non ho quasi bisogno di testi a corredo per percepire lo sfinimento, lo sfruttamento, la sofferenza delle persone ritratte.


Quindi continua a balenarmi in mente ancora una domanda: ma i nostri posteri che cosa potranno capire da milioni e milioni di immagini sfocate, mosse, mal inquadrate, oppure di fiumi di immagini di soli dettagli? Di milioni di selfie idioti, di immagini cupe e decontestualizzate? Oppure di immagini sì tecnicamente ineccepibili, ma che ricostruiscono artificiosamente situazioni e periodi non attuali?
Che cosa potranno capire della nostra società attraverso queste immagini?


È vero che l’arte non può farsi condizionare dal fine storico e sociale, però non può nemmeno continuare a cavalcare l’onda della falsa genialità per giustificare una povertà di contenuti che pare al quanto evidente e diffusa.


Manca la differenziazione; il male odierno è legato proprio a questa foga che porta tutti i fotografi a seguire le mode e il trend del momento, e a dimenticare lo scopo forse più importante del fare fotografia, lasciare una traccia per i posteri.

Piero Manzoni con le famose scatolette della “Merda d’artista” all’inizio degli anni sessanta, ci faceva riflettere sul potere che può avere l’artista affermato. 


Oggi siamo arrivati all’apoteosi di quel concetto, all’innesco di un circolo vizioso dato proprio dalle mode e dalle tendenze.
Oggi più un artista è famoso e più diventa influente sulle tendenze del momento, producendo così greggi di ossequiosi discepoli, emulatori di stili e privi di qual si voglia personalità.
Un gregge che dal canto suo contribuisce a rendere ancor più potente l’effetto del proprio idolo, rendendolo quindi sempre più famoso e chiudendo così il circolo vizioso.


L’artista quanti più seguaci avrà tanto più famoso sarà, ma allo stesso tempo quanto più famoso diventerà, maggiore sarà il numero dei suoi seguaci.


Così facendo non conta più l’arte in sé, in altre parole il prodotto dell’artista, ma il marketing con cui lo stesso riuscirà a promuovere la sua produzione.


Rimane solo da capire cosa accadrà quando terminerà l’effetto moda, l’effetto tendenza; i posteri capiranno?


Tra cent’anni, dopo aver pagato il biglietto per visitare un museo d’arte del passato, ed aver attentamente analizzato le opere dei primi anni duemila, si riterranno soddisfatti o correranno in cassa per farsi rimborsare il biglietto?


A indurmi spesso in queste riflessioni è il ricordo di un vecchio fotografo di strada della mia infanzia, si chiamava Spartaco, era un amico di famiglia, e buona parte delle foto presenti nei miei album di bambino le ha scattate proprio lui. Oggi le guardo con tenerezza, ed ognuna di esse mi rimanda al passato, e oltre a farmi ricordare tanti particolari e momenti dimenticati, l’enorme quantità di informazioni presenti all’interno di ogni singola inquadratura, mi permette di ricostruire un periodo storico e sociale che la sola memoria di bambino non basterebbe a far riemergere.

Questa è una fotografia scattata proprio da Spartaco con la mia prima bicicletta. Una bici di seconda mano che aveva recuperato il mio fratello maggiore, e sulla quale era stato montato un grosso cestino. Infatti, lo scopo di quel regalo era prima di tutto legato al fatto che da quel momento in poi, sarei diventato l’elemento familiare addetto a fare la spesa per la famiglia.


Quindi facciamo tutti un piccolo sforzo, tra una foto fatta al piatto di linguine al pesto, ed un selfie con il nuovo taglio di capelli, mettiamoci anche qualche foto descrittiva della nostra vita e della vita dei nostri cari, oggi forse ci sembreranno banali ma in futuro forse i nostri eredi ci ringrazieranno.

Buone foto a tutti.

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