Raccontare con le immagini
Giovedì 27 dicembre 2018 | Andrea Sivilotti
La prima volta che mi portarono a Venezia avevo poco più di sette anni.
A quei tempi anche un viaggio di poco più di cento chilometri era una vera e propria impresa.
Ricordo era un giorno di primavera, non era ancora sorto il sole e già con i nostri parenti, una vera e propria spedizione famigliare, ci avviammo a prendere la “Littorina” a Pinzano al Tagliamento, diretta verso Sacile.
A Sacile non feci in tempo a scendere da un treno che già salivo su un’altro diretto proprio a Venezia Santa Lucia.
Nonostante i viaggi risultassero interminabili e lenti sui vecchi convogli locali, il fascino di viaggiare dondolati dal “tatam tatam” dei giunti sui binari, non si spegnerà mai nella mia memoria.
Non c’era l’aria condizionata sui vagoni, e i finestrini rimanevano spesso abbassati per far cambiare un’aria viziata e stantia, spesso impregnata del fumo di sigarette di basso costo, senza filtro o di Toscanelli spenti e riaccesi più volte.
Le tende di pesante tessuto svolazzavano tra le teste dei pendolari, appoggiate ai finestrini o contenute tra le mani aperte, nella vana speranza di riagganciare un sonno interrotto troppo presto la mattina.
Il profumo pungente del mare avvertiva che la meta era vicina.
Incollato con il naso al grande finestrino, come fosse un immenso televisore, mi impregnavo di tutto quanto vedevo scorrere davanti ai miei occhi.
Da Mestre a Santa Lucia il treno correva come su una lunga stretta lingua di terra in mezzo alla laguna, e in lontananza il profilo della città storica andava via via definendosi.
L’emozione di quel primo sbarco sulla terra veneziana è rimasto indimenticato, oggi come allora provo sempre un gran tuffo al cuore ogni volta che esco dalla stazione ferroviaria e mi immergo tra le calle della città antica.
Durante quel primo viaggio, mia madre mi regalò una piccolissima macchina fotografica, finta, di plastica.
Guardando attraverso il mirino, ad ogni click ti si presentava davanti un’immagine diversa di Venezia.
Chissà, forse era già scritto da qualche parte che la fotografia sarebbe diventata la mia compagna inseparabile.
Da allora non ho mai smesso di guardare Venezia e molti altri posti attraverso un mirino di una macchina fotografica.
Preferisco evitare le giornate festive, il carnevale e l’estate quando l’affluenza dei turisti è tale da rendere invivibile la città e ingodibile il suo immenso patrimonio culturale e artistico.
Evito anche di cadere nei cliché delle foto veneziane, con i voli dei colombi in piazza S.Marco o le maschere durante il carnevale.
È vero foto della città lagunare se ne son viste tante e se ne continuano a vedere oggi a “milionate” sul web, io non voglio certo contribuire ad inflazionare ancora il settore, però desidero mostrarvi alcune mie immagini, riprese semplicemente passeggiando senza una meta precisa, solo godendomi il posto e la moltitudine di persone che lo visitano.
Sono immagini che a volte possono apparire banali, prese al volo tra il trambusto dei turisti e la pace delle calle meno frequentate, ma in fondo sarà stato banale anche fotografare una coppia mentre si bacia in un parco negli anni ’50 , eppure se quelle foto non fossero state scattate oggi non potremmo goderci un romanticismo oramai svanito.
La fotografia di strada che amo praticare è una fotografia documentaristica, antropologica, che descrive e delinea un modo di essere delle persone che vivono nel momento storico in cui lo scatto è stato realizzato.
Alcune di queste immagini sono state scattate in digitale mentre altre ancora su pellicola, perché non riesco a staccarmi dal fascino di un click con la mia vecchia F3 o della M6.
Al prossimo post, buone foto a tutti.
Andrea.
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