Il “diverso” a tutti i costi.

Martedì 27 ottobre 2016 | Andrea Sivilotti

Nella mia continua ricerca e studio di immagini e racconti fotografici sia sul web che su riviste e libri di settore, mi trovo spesso a dover constatare che ultimamente i critici e comunque i fotografi affermati che si occupano anche di divulgazione ed insegnamento dell’arte fotografica, tendono a valutare positivamente solo i lavori, diciamo così, non classici.

Vengono tenuti in considerazione e spesso osannati solo i lavori di nuovi fotografi, che sviluppano tecniche non usuali, che rappresentano le loro scene da inquadrature doverosamente direi non tradizionali, insomma solo chi trasgredisce le regole classiche della fotografia.

Secondo l’attuale tendenza solo chi fotografa seguendo rigorosamente la moda del momento produce immagini interessanti.

E la moda del momento si è ben capito quale sia.
Non importa se i padri di queste tecniche abbiano sperimentato e praticato questa fotografia decine di anni or sono, andando contro corrente rispetto alla moda di “quel” momento, resta il fatto che oggi tutti come delle pecore ordinate seguono le indicazioni dei mentori-pastori sostenitori della “nuova” moda.

È alquanto strano infatti, che negli ultimi decenni ci sia stata una corsa assennata ad una certa fotografia di strada (street-photography), ed oggi siamo bombardati da immagini omologate e strettamente rispettose delle indicazioni dei divulgatori.

Ci ritroviamo quindi a dover sorbire una mole impressionante di immagini con inquadrature rigorosamente aggressive e forzatamente astratte, tagli drastici e spesso improbabili, contrasti elevatissimi e uso eccessivo dei toni scuri, sfocati e mossi al limite della comunicazione, e cosa forse più fastidiosa tra tutte, immagini che hanno la presunzione di aver rappresentato con lo scatto un qualsivoglia messaggio onirico o subliminale, ma che di fatto è impossibile da cogliere se non attraverso la lettura di un lungo testo esplicativo a corredo della fotografia.

Mi voglio ripetere, chissà perché ogni volta che penso a queste situazioni, mi vengono in mente i due burini romani rappresentati da Alberto Sordi e consorte nel film “Vacanze intelligenti”, che con la loro genuinità si trovano catapultati in un mondo a loro distante ed incomprensibile: la Biennale di Venezia con le sue opere astratte e futuriste.

È chiaro che le mie osservazioni sono riferite alla massa di emulatori che si diffonde ad ogni manifestazione di una nuova moda, non certo rispetto a coloro che professionalmente svolgono da anni un profondo lavoro di ricerca artistica.

Quello che mi riesce sempre difficile da comprendere è il perché si voglia sempre stare dalla parte del “momentaneo diverso”, già dico proprio momentaneo, perché tra qualche anno sicuramente ci sarà qualcuno che rilancerà una nuova moda-tendenza o forse solamente una vecchia-nuova moda.

Così come accadde dopo il grandissimo lavoro fotografico sviluppato da Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati: “Morire di classe”, preparato a supporto della proposta di legge di Franco Basaglia per la chiusura dei manicomi, tutti diventarono fotografi della disperazione, vennero invasi ospizi e case di cura e furono prodotte montagne di immagini emulative dei due maestri già citati.
 
Ieri sera, su consiglio di un amico fotografo, sfogliavo sul web le immagini di un volume italiano degli anni ’50-’60, “La Strada”. In quegli anni la fotografia era per lo più reportage di guerra e paparazzi, eppure c’erano dei fotografi che documentavano le strade del nostro bel paese. Erano una piccola minoranza ma facevano street-photography già allora, loro erano i diversi.
 
Per concludere questa riflessione mi permetto di abbozzare una mia opinione in merito alla questione sollevata.
Premetto che con la mole di immagini che viene prodotta e pubblicata quotidianamente, essere originali in fotografia oggi è molto difficile.

Per prima cosa bisogna documentarsi accuratamente cercando di conoscere quanto meno il lavoro dei grandi maestri che ci hanno preceduto, le tecniche e le correnti artistiche di chi ha fotografato prima di noi, altrimenti come si fa a ritenersi originali, rispetto a cosa?

In secondo luogo essere originali non significa correre appresso alle mode, bensì correre appresso alla propria essenza fotografica, sempre che ce ne sia una.
Così diventa fondamentale porsi come prima meta da raggiungere, l’identificazione del proprio “io fotografico”.

Una volta individuato si deve procedere come se stessimo coltivando una piccola piantina di albero da frutto, bisognerà alimentarla quotidianamente con lo studio, potarla e sfoltirla con senso critico, magari facendoci aiutare da chi ha maggior esperienza, ed attendere che cresca a dovere. Solo allora cominceremo a raccogliere i primi frutti.

E non importa quale frutto vada oggi per la maggiore nei mercati di paese, noi pianteremo e faremo crescere quel frutto che sentiamo a noi più congeniale.

Chissà che allora rivedremo in giro nuovamente qualche bel racconto fotografico alla W. Eugene Smith.
 
Buona giornata.
Andrea.

W. Eugene Smith—Time & Life Pictures/Getty Images

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