Punto di Vista n.6

Sabato 8 ottobre 2022 | Andrea Sivilotti

La foto d’attesa.

Ogni fotografo ha un proprio stile o almeno dovrebbe averne uno, e questo stile si rivela nelle immagini che egli produce.

Tuttavia, l’immagine che noi spettatori possiamo osservare, non è solo il frutto di un modo di interpretare la realtà che si offre all’obbiettivo, ma è l’insieme di più fattori determinanti e individuali.

Gli ingredienti di questo cocktail variano da fotografo a fotografo, si va dal concetto stesso di fotografia all’importanza del contenuto e del messaggio rappresentato, dal tema scelto sino all’attrezzatura impiegata, dalla tecnica usata sino al metodo impiegato per la ripresa, e via così.

Per coerenza con il mio piccolo bagaglio di esperienza e cultura fotografica, parlerò solo di ciò che conosco, e ciò che ho messo in pratica di persona.

La fotografia d’attesa io la considero uno dei vari “approcci alla fotografia”, e come tale la ritengo prima di tutto una “forma mentale”; il fotografo infatti, prima di schiacciare il pulsante di scatto, sente la necessità di attendere il momento fatidico, lui sa che c’è un momento “x” e lo attende con pazienza e attenzione.

Ci sono fotografi istintivi, impulsivi, sistematici, e altri ancora all’apparenza sconclusionati, ed infine ci sono quelli pazienti.

Anche i fotografi d’attesa si possono ulteriormente suddividere in ulteriori sottogruppi, vi sono coloro i quali hanno programmato per filo e per segno ogni dettaglio, ed attendono come da loro programma il momento “x”, tipico ad esempio per molti paesaggisti; altri, come coloro che si occupano di caccia fotografica, pur avendo anch’essi programmato ogni fattore, non sono in grado di pianificare ciò che potrà accadere durante l’attesa o le riprese e quindi attendono che gli capiti davanti una o più situazioni singolari; e per ultimi ci sono coloro che, individuata una scena interessante, per istinto percepiscono che proprio in quel luogo e lasso di tempo, potrebbe accadere qualche cosa di rilevante, del quale loro si sono fatti già un’idea, ed allora attendono il proprio momento “x”.

Il mio approccio alla fotografia è una benevola convivenza tra l’istinto e l’attesa, dipende dall’umore della giornata, dal genere di fotografia che ho deciso di scattare quel giorno, e da tanti altri aspetti ben poco pianificabili.

Così infilo una macchina fotografica nella tasca della giacca e parto per la mia passeggiata fotografica. Generalmente per queste uscite fotografiche prediligo macchine meccaniche con ottica fissa, poco ingombranti, al massimo mi porto dietro un secondo corpo con altro obiettivo, o anche solamente il secondo obiettivo.

Non sono e non lo sono mai stato, uno che scatta molto e a tutto e tutti indistintamente nella speranza di “beccare” qualche scatto originale, no, ho sempre preferito guardarmi attorno, osservare, cercare dei punti di vista privilegiati, che potessero garantirmi sia una scena intrigante, sia una visuale globale che mi consentisse di poter anticipare gli eventi.

Così mentre passeggio studio la parte di mondo che mi circonda, e mnemonicamente cerco di immaginare quale parte di quel tutto, possa essere isolata dal mio obiettivo.

Nelle mie fotografie quasi sempre, sento la necessità di inserire una figura vivente, sia essa umana o animale, o quanto meno quello che io chiamo: la presente assenza dell’uomo. Quindi, una volta individuato lo sfondo ideale, immagino come possa inserirsi in quel contesto la figura viva mancante, e di conseguenza imposto la macchina fotografica e attendo che accada ciò che vorrei.

Non sempre succede, e non sempre succede nel modo che mi ero immaginato, e purtroppo a volte capita pure che il risultato della mia ripresa non rispecchi nemmeno le mie volontà.

Già, Cartier Bresson diceva di cogliere l’attimo, ma lui era un genio e si sa che di geni ne nascono pochi in un secolo, così a noi umani rimane solo il desiderio di rincorrerli, di impratichirsi, di tentare e ritentare, di sperimentare e di imparare dai propri errori.

La fotografia d’attesa rimane comunque un grande esercizio mentale e fotografico, t’insegna a osservare laddove normalmente avresti solo guardato svogliatamente, t’insegna a curare i dettagli, a scegliere bene gli sfondi, a non perdere tempo con le impostazioni della macchina o della focale, t’insegna a pre-visualizzare la foto che vorresti.

È evidente che questo “modo” di far fotografia non fa al caso di chi debba portare a casa a tutti i costi un risultato, come chi ad esempio fotografa per lavoro, o chi si diletta nel ritrarre un evento irripetibile, o a chi vuole documentare un viaggio che non potrà rifare una seconda volta; in quelle occasioni è preferibile scattare lasciando libero spazio all’improvvisazione e all’istinto.

Qui di seguito alcune immagini dal mio archivio, che come ho già detto sono state pensate, cercate e trovate attendendo proprio il momento “x”.

 

Il contrasto di un pilone del ponte ricoperto di murales sullo sfondo dei palazzoni moderni

Camminando sulla riva del lago artificiale sul fiume Isiet ad Ekaterinburg negli Urali, notai dei murales che mi interessavano sui piloni del ponte, ci girai attorno sino a che vidi sullo sfondo le torri di un quartiere recente, a quel punto l’inquadratura c’era, ho dovuto solo attendere che una figura entrasse nella scena.

Sempre ad Ekaterinburg, ma dal lato opposto del lago artificiale, notai la coppia di ragazze che si scambiavano effusioni, poco lontano vidi la barca con l’uomo che le osservava un po’ scandalizzato. Attesi che la barchetta entrasse nell’immagine dove volevo e scattai.

Una coppia tradizionale in barca e una alternativa sul molo

 

Un’estate caldissima al parco VDNK di Mosca, i ragazzi si divertivano a tuffarsi nella magnifica fontana dorata. Vidi che alcuni erano saliti nella parte più alta, così girai attorno alla fontana fino ad arrivare ad ottenere una luce favorevole, poi individuata la coppia di ragazze in primo piano le seguii sino a che non vidi entrare nella scena i due ragazzi del livello superiore.

Girando all’interno di un museo, nella periferia di Mosca, mi accorsi che la debole luce invernale che attraversava una finestra delle scale, mi riportava un’interessante quadro del paesaggio esterno. Nelle mie fotografie la presenza della figura umana è indispensabile e così appostatomi sul bordo della rampa e individuata l’inquadratura migliore, attesi sino a quando due dei quadranti furono riempiti dal passaggio di figura a passeggio. Scattaia poco più che un paio di foto, ma attesi almeno venti minuti prima di arrivare al risultato che desideravo. Da notare che qusto scatto fu fatto con pellicole e quindi non evvi la possibilità di verificare nel display se l’immagine era riuscita, dentro di me ne ero certo.

Passeggiando per le calle di Venezia, notai una figura che di tanto in tanto spuntava a curiosare da una buia finestra. Ritornai sui miei passi e provai ad inquadrare la finestra per vedere se si affacciava di nuovo, lo fece un paio di volte ma appena mi vedeva si ritraeva. Decisi allora di abbassare la macchina fotografica per farmi vedere in viso, lei sbucò di nuovo ed io le sorrisi, ricambiò e rimase sorridente giusto il tempo per farsi fare lo scatto che vedete qui a fianco.

Sempre a Venezia, uno spazzino era indaffarato a pulire la piazza e decisi che volevo ritralo tra le colonne mentre lavorava. C’era poca gente in giro e l’uomo da solo e di spalle non mi convinceva, così decisi di aspettare, perchè sentivo che mancava qualche cosa. Volevo inserire altre figure nell’immagine. Dopo un po’, prima che lui se ne andasse lontano dalla mia inquadratura, due persone si sedettero sulla panchina per fumare una sigaretta. 

Buone foto a tutti.

Andrea

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